sabato 20 ottobre 2012

La Femme du Pont


Nemmeno il tempo di dire addio alla seconda guerra mondiale che già un altro conflitto, come ce ne fosse bisogno, iniziava ad uscire quatto quatto tra la mia famiglia e quella vicina. Al tempo avevo 21 anni e mio padre, un contadino sulla cinquantina che si credeva don Vito Corleone solo perché era riuscito, tramite traffici illeciti e conoscenze a destra e a manca a crearsi una cerchia di fedeli che lo veneravano e amabilmente pagavano con enorme gaudio un salato pizzo, mi portò a scappare dalla Sicilia verso Roma, così da evitare di diventare suo sicario o nella migliore delle ipotesi suo successore (ovviamente aveva la priorità mio fratello maggiore). Fu in effetti un enorme colpo di fortuna visto che mio padre, con tutta l'allegra combriccola, il giorno seguente alla mia fuga venne arrestato, con enorme gaudio del sottoscritto che non riusciva ad accettare i suoi modi volgari e presuntuosi.
Poco male, morì poco dopo in carcere insieme a mio fratello, lo lessi sui giornali senza nemmeno sprecare una lacrima. Mi dispiacque più che altro per i soldi che avevo speso per il quotidiano, erano tempi duri, ma pareva brutto non comprarlo (più che altro ero curioso). Mia madre non l'ho più sentita, ho pensato fosse meglio così, potessi tornerei indietro, almeno per abbracciarla un'ultima volta.
Arrivato a Roma iniziai a lavorare quasi subito per un falegname al centro. Falegname è abbastanza riduttivo visto che si trattava di un restauratore, ma in ogni caso lavorava con il legno. La bottega era divisa in due parti, il laboratorio su strada dove passavo la mia giornata lavorativa e il piano interrato che il capo mi concedeva per dormire. Era stretto e buio, una sorta di tunnel di 3 metri per mezzo metro circa, c'erano, poggiati a terra, due materassi logori quanto bastava per vedervi fuoriuscire quelle due o tre molle arrugginite. Meglio che dormire fuori al gelo, certo, la vista su Castel Sant'Angelo non era per niente male, ma avrei potuto lavorare davvero poco. Il vero problema era l'assenza di una vasca da bagno, ma fortunatamente avevo scoperto un chiostrino lì vicino con una fontana al centro e verso le due di notte mi recavo lì per togliermi tutta la segatura della giornata.

Questo muro mi ricorda il periodo più felice della mia vita, qui ho incontrato quella che poi sarebbe divenuta mia moglie. Certo, non era proprio lo stesso muro, era probabilmente appena stato costruito, me lo ricordo di un colore acceso, pitturato da mani esperte, certo pieno di difetti, non come le opere d'arte che alzano di questi tempi! Vederlo oggi così a due passi dai fori sembra essersi piegato al volere di un clonatore di macerie, che voleva replicare il disastro dei tempi antichi. Purtroppo oggi è questo che si fa, di restauratori infatti ne sono rimasti ben pochi, oggi semplicemente si lasciano le cose così come il tempo vuole che siano e se ne costruiscono altre accanto. È un po' come avere un figlio malato, lasciarlo su un letto a soffrire e fargli intanto un fratellino bello come il Sole per rimpiazzarlo.

Ma veniamo al giorno più importante della mia vita. Dopo cinque anni dal mio trasferimento a Roma le cose erano decisamente cambiate, avevo trovato un appartamento ed avviato un mutuo, mi ero iscritto all'università e intanto facevo il fotografo per uno studio del centro. Il lavoro mi permetteva di vivere alla grande, visto anche che non dovevo badare a nessuno, e mi lasciava il tempo per lo studio. Avrei voluto iscrivermi a medicina ma non passai il test di ingresso, così scelsi architettura, pensai che magari avrei potuto utilizzare le nozioni apprese di fotografia per lo sviluppo di ambienti o strutture originali.
Insomma, devo dire che è stato davvero un bel periodo. Poi arrivò il colpo di fulmine. Proprio di fronte alla gelateria Giolitti una sera incontrai Maria Rosa, quella che un anno più avanti sarebbe diventata mia moglie. In quella stradina minuscola che era via degli Uffici del Vicario, incontrai quella donna bellissima, aveva i capelli rossi, mossi e lunghi fino ai fianchi, occhi verdi e due stupende labbra carnose, appena la vidi ebbi un sussulto, ma non ero tipo da provarci con le donne, semplicemente pensavo che prima o poi sarebbe accaduto e che bastava solo lasciar fare al destino così da avere qualcosa di spontaneo e nato totalmente dal caso; Così tirai dritto, un po' disorientato da quel baccano che sentivo nel mio petto.
Tornato a casa mi coricai presto, visto che il giorno seguente avrei avuto lezione alle otto. Faticai ad addormentarmi, con quell'immagine stampata sugli occhi e quindi decisi di uscire a passeggiare e non presentarmi a lezione il giorno seguente. Camminare per le viette romane di notte era impossibile da commentare, era fantastico! Non c'erano le macchine che ci sono oggi e potevi quasi permetterti di andare in giro con un milione di lire in mano senza avere paura di un agguato. Passai, come tutte le volte sul Tevere, Castel Sant'Angelo sembrava avere la luna come lampione personale, l'illuminazione pubblica (lieve) e quelle minuscole lucciole che qui e lì adornavano le finestre dei palazzi, quel venticello quasi salato, come si fosse al mare, l'incredibile fotocopia della cupola di San Pietro che si specchiava sul fiume, tutto questo contribuiva per me a molto più degli amici che non avevo e dei parenti che avevo lasciato. Tutto ciò mi dava una grinta, una serie di emozioni, che proprio non pensavo di possedere.

"Camminavo su sentieri infidi
dolorosamente incerto.

E le tue care mani mi guidarono.
pallido un debole presagio d'alba

riluceva all'orizzonte lontano:
il tuo sguardo fu il mattino.

Nessun altro rumore che il suo passo 
sonoro incoraggiava il viaggiatore.

La tua voce mi disse: Vai avanti!. 
Il mio cuore timoroso, oscuro, 

piangeva solo sulla triste via: 
l'amore, delizioso vincitore, 
ci ha riuniti nella gioia."

"È Verlaine, tutte le notti a quest'ora passo di qui e non riesco a non pensare a questa poesia."
"Io di solito a quest'ora dormo..." Era lei, la donna che avevo incontrato poche ore prima, iniziai a tremare, non sapevo come comportarmi, provavo quella sensazione che solo l'amore sa darti, quella sorta di "mi sembra di conoscerti da una vita ma non posso abbracciarti perché non ci conosciamo".
"Piacere, Maria Rosa, sei mai stato al teatro qui dietro l'angolo? Lavoro lì, sono un'attrice, lo dico un po' per giustificarmi, non penso sia normale mettersi su un ponte a recitare una poesia alle quattro di mattina!"
"No, non lo è, ma quello che pensavo vedendo questo spettacolo è molto molto simile a quello che hai espresso a parole, non tanto per il testo quanto per il modo in cui quel piccolo universo è uscito dalla tua bocca!" Dovrei averle detto qualcosa del genere... O forse me lo sto solo inventando per non ricordare la figuraccia di una scena muta.

Passarono non so quanti minuti senza dire una parola, bloccati nel tempo con lo sguardo sul Tevere, e con la coda dell'occhio a cercare un misero contatto. Poi come era comparsa sparì, con un flebile saluto, spazzato via dalla brezza delle prime ore della mattina.
Tutte le notti, alla stessa ora andavo su quel ponte, sperando di rivederla, di risentirla. Ormai non mettevo piede all'università da due settimane quando una notte sentii "Salve uomo del ponte!", ed eccola comparirmi davanti, uscita dall'acqua, come un filmato di un tuffo riprodotto al contrario.
"Salve donna Rosa, qual buon vento?"
"Donna Rosa... hai dei modi bizzarri sai? Ti ho visto qui solo soletto tutte le notti, potresti anche venirmi a trovare a teatro, o venirmi a bussare a casa, ci facciamo una chiacchierata per ingannare l'insonnia."
"Non mi permetterei mai di venirti in casa, sai le malelingue?"
"Ah guarda, c'è talmente tanto traffico nel mio appartamento! E' l'unico vicino al teatro e i miei colleghi passano spesso per ripassare qualche battuta. Molto spesso rimangono anche a dormire, quando abbiamo le prove di mattina! Le malelingue non mi toccano, piuttosto mi è dispiaciuto vederti tutto solo quindi sono scesa per farti un po' di compagnia!"
"Insonnia, che brutta bestia! Ti ringrazio per la compagnia ma non preoccuparti, non voglio disturbare. Però mi fa piacere che tu sia qui. Domani alla stessa ora ci saresti? Vorrei fare una foto al panorama e mi servirebbe una mano per l'attrezzatura. Nessun problema se non ti va!"
"Ma certamente!"

La notte seguente portai macchina fotografica e treppiedi, li posizionai ed aspettai la "donna del ponte" che arrivò poco dopo. Inserita la pellicola mi chiese cosa avrebbe dovuto fare. Le chiesi semplicemente di sorridere. Le luci dei lampioni sul suo viso, le mani che uscivano timide da quella camicetta, quello sguardo intenso, era stupenda! "Molto meglio questo di panorama!" esclamai inquadrandola.

Iniziammo a frequentarci e finimmo per sposarci due anni più tardi. Quando nacque il nostro primo figlio eravamo pronti ad acquistare una casa tutta nostra. Ero riuscito a vendere a tempo record l'appartamento dove abitavo e trovammo un attico che affacciava proprio sul ponte dove ci eravamo conosciuti. Abito lì anche oggi.
E' stato un periodo fantastico, negli anni successivi arrivò la nostra seconda figlia, aprii uno studio fotografico e proprio in generale andava davvero tutto a gonfie vele.
Poco dopo la laurea Marco, nostro figlio, se ne andò a vivere in Australia portandosi dietro sua sorella a distanza di un paio d'anni. Intanto noi, tornati coppia eravamo impegnati negli ultimi anni prima della pensione. Maria Rosa era diventata un'attrice importante, girava il paese con i suoi spettacoli e spesso mi faceva assumere per le foto di scena.

Potrei stare qui a raccontarvi di come l'ho persa, potrei andare avanti per ore parlando solo del profumo dei suoi capelli, di tutte le volte che ho guardato quel ponte sperando di vederla uscire dall'acqua e sorridermi, ma non lo faccio. Non lo faccio perché sarebbe banale, parlare di lei, parlare della "donna del ponte" sarebbe come cercare di descrivere un dio, un'emozione, come dare un nome a qualcosa che nome non ha. Quello che posso dirvi però è che dipingere se stessi con il nome di chi si ama è l'unica via per sorridere.

Sono ormai venti anni che vivo da solo in quell'attico sulla riva del Tevere, oggi è un giorno speciale! Sono andato a comprare una torta, tra i vicoli di Roma, la mia città, sono passato su quel ponte a salutarla e ora piano piano me ne torno a casa.

Mi chiamo Achille, ho 93 anni ed oggi festeggio il mio compleanno!

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